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Lo scrittore L. Sciascia anni fa espresse la sua stima per la Chiesa, rilevando però l'impressione che essa si occupi troppo della società e poco della vita eterna.
Disse: «La preoccupazione dell'al di là, la speranza di non morire è il tutto di una religione. Se più non si amministra questa attesa, se si abbandona quest'attenzione, una religione finisce per assomigliare ad un club umanitario, magari ad un sindacato o ad un partito politico».
Per evangelizzare il malato è necessario porsi alla scuola di Cristo e avere un cuore ricco di Dio e di umanità. Questa è una delle caratteristiche essenziali da esigere nei ministri straordinari dell'Eucarestia, incaricati di portare il Corpo di Cristo agli infermi. La Chiesa, nell'anno liturgico e pastorale, ha molte occasioni per proporre ai fedeli l'esempio e l'insegnamento di Gesù verso i malati, facendo rilevare che non si tratta soltanto di dare tempo, cura, medicine ai malati, ma anche si riceve molto da loro. Si tratta di uno scambio, perché la malattia è una maestra per tutti.
Nessuno esce come prima dalla visita ad un ospedale o ad un malato nelle case. Si impara la riconoscenza a Dio per i tanti doni, cui solitamente non viene dato peso; si apprende a pregare per chi è nella prova; si diventa capaci di apprezzare il tanto bene nascosto, compiuto da gente comune; si ridimensionano i propri problemi, dopo averli confrontati con i drammi altrui; si ritrova la semplicità e l'umiltà.
Si comprende ancora di più l'assurdità con la quale oggi molti giovani svendono la propria vita o mettono a rischio quella degli altri con la droga, le stragi del sabato sera e con altre trasgressioni, tipiche di chi ha perso il senso di Dio (cfr. rivista «Via Verità e Vita», Ed. Paoline, maggio-giugno 1996, Roma, pp. 15-18; 4245).