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Da quanto è stato scritto, sulla base di una più che sufficiente documentazione, appare:
1. Il vescovo monsignor A. Bernareggi si è fondato sulle conclusioni della commissione teologica, per il suo giudizio sulle apparizioni di Ghiaie;
2. La commissione teologica si è lasciata guidare nel suo lavoro dall'indagine del prof. Don Luigi Cortesi;
3. Tale indagine è stata dal predetto professore assunta arbitrariamente e condotta senza alcuna garanzia di legalità. Da queste premesse si possono trarre alcune deduzioni:
a) il giudizio del vescovo di Bergamo lascia molti dubbi, perché alla fine si fonda su una indagine non attendibile;
b) si impone un processo regolare;
c) dato che quello del 1947 non si può ritenere un processo canonico, come scriveva monsignor Pietro Carrara, vicario generale del vescovo A. Bernareggi, si faccia un vero processo.
Moltissimi fedeli aspettano che sia fatta piena luce sulle apparizioni di Ghiaie. La giustizia soprattutto richiede che sia riparato un grave torto fatto ad una innocente.
Bastano questi motivi per avviare un processo che porti a giusta soluzione l'annosa questione. Non si dica che per riaprire il processo occorrono fatti nuovi. Quali sono i fatti nuovi capaci di provocare la riapertura del processo, se i frutti spirituali non sono presi in considerazione, e le guarigioni fisiche straordinarie sono viste come premio alla buona fede di chi invoca la Vergine a Ghiaie? Non sui fatti nuovi dovrà essere dato il giudizio, ma su quelli del maggio 1944, che non sono stati ancora esaminati in conformità alle leggi canoniche e civili.