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La Famiglia e la Vita umana nel messaggio di Ghiaie

 

 


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Origine del problema


Nella nostra società secolarizzata, o per dirla in termini più chiari, che ha perso i valori cristiani, l'eutanasia ha trovato e trova molti consensi.

La negazione di Dio porta anche a negare che ci sia Uno, al di sopra di noi, al quale si deve rispondere delle proprie scelte. Perciò si può fare quello che si vuole della propria vita e di quella degli altri. Sono le terribili conseguenze dell'ateismo.

In una concezione materialistica, la vita ha valore solo se può essere goduta. Quindi non ha senso prolungare una vita che riserba solo sofferenze. Porvi fine, è l'unica scelta giusta, razionale, secondo questa mentalità, originata dal materialismo. Questi atei e materialisti continuano dicendo che quando sono altri incapaci di disporre di sé a trovarsi in una situazione del genere, allora è un gesto di pietà e di amore porre fine alle loro sofferenze con l'eutanasia.

La legittimazione dell'aborto contribuisce a sviluppare un consenso alla legalizzazione dell'eutanasia, perché si dice: se è lecito sopprimere un bambino non ancora nato, perché si è accertato che nascendo condurrebbe una vita gravemente menomata, perché non si dovrebbe fare altrettanto con chi sta vivendo in quelle condizioni?

Altro motivo alla legittimazione dell'eutanasia viene dal crescente invecchiamento della popolazione soprattutto nei paesi economicamente sviluppati.

Si prospetta una situazione in cui su ogni cittadino che lavora graveranno diversi anziani ai quali si dovranno assicurare il necessario per vivere e le cure mediche sempre più costose. In una cultura segnata da uno sfrenato individualismo, l'idea di sbarazzarsi di quel peso, già da tempo prospettata da alcuni intellettuali, appare logica.

Il dottor R.H.Williams, sulla rivista Northwest Medicine, nel luglio 1970, scriveva: «Un programma di prevenzione della sovrappopolazione deve includere l'eutanasia».

A tutto ciò, si può aggiungere un'altra considerazione. Nella società preindustriale, in cui il popolo viveva in precarie condizioni quanto ad igiene e alimentazione, per non parlare della medicina spesso impotente a debellare le malattie più diffuse e mortali, tutti fin dall’infanzia erano abituati a convivere con la sofferenza e la fatica e perciò erano allenati ad affrontarle come realtà della vita. Anche la morte faceva parte delle esperienze, che ognuno fin dalla fanciullezza faceva nella propria casa.

Nella nostra società del benessere, con una medicina più sviluppata quanto alla conoscenza scientifica e alle sue applicazioni tecnologiche, il mito della salute per tutti si è largamente imposto. Chi si ammala seriamente non rimane in casa con gli altri, ma viene affidato alle istituzioni sanitarie.
Oggi chi segue la cultura dominante, ritiene prive di senso le sofferenze causate da malattie inguaribili e quindi pensa che sia ragionevole porvi fine, tanto più che ora abituato ad una vita agiata, dalla quale si cerca di eliminare ogni sacrificio, non è più preparato a sopportarle (cfr. Lino Ciccone, o.c. pp. 127-130).